Guardandoti ballare by Elena Borravicchio

Guardandoti ballare by Elena Borravicchio

autore:Elena Borravicchio [Borravicchio, Elena]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni Ares
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


XXVI

Marta se n’è andata una mattina di inizio giugno.

Quando mi raggiunse la notizia stavo camminando nel parco vicino a casa. Era un sabato. Marco si trovava a un pigiama party dal suo amico Giacomo. Quel giorno mi ero svegliato presto ed ero subito uscito per andare a respirare l’aria del giardino della città, dove i soffici cespugli di aglio orsino creano un tappeto di fiori bianchi senza fine.

Squillò il cellulare e lo “seppi”, un istante prima di rispondere, con quell’animalesca certezza che ci fa presagire una novità con le viscere, non con il cervello.

Era il medico dell’hospice. L’infezione respiratoria insorta alcuni giorni prima aveva avuto la meglio.

Lo ascoltai immobile, rigido come un palo.

Chiusa la telefonata ripresi a camminare. Continuai a lungo. Fuori dal tempo, fuori dallo spazio. Circondato da quell’odore.

Quando ripresi contatto con me stesso, iniziarono a sgorgare le lacrime, prima incerte, involontarie, poi copiose, convulse. Mi sedetti su una panchina e mi presi la testa tra le mani.

Questa volta era tutto finito, per davvero.

Non ricordo quanto rimasi in quella posizione.

Iniziai ad avere freddo. Squassato dai brividi tornai a casa e mi misi a letto. Mandai un messaggio a Stefano: «Marta se n’è andata. Avvisa i suoi», e spensi tutto. Fu premura di mia suocera andare a recuperare Marco e portarlo a casa con sé; dopo vari tentativi vani (trovai parecchie chiamate perse quando rinvenni), rinunciò a contattarmi e si limitò ad attendere che mi facessi vivo.

Ricordo confusamente le giornate che seguirono. Il funerale, il sacerdote che viene a salutarmi: «Sono don Paolo, prego per la sua famiglia» prendendomi la mano tra le sue, fare le valigie con i vestiti e i quaderni di Marco, lasciare ai miei suoceri il compito di accompagnarlo a scuola per i pochi giorni che mancavano all’estate.

Ero “spento”, di nuovo.

Lasciai il giornale per un po’. Congedo per lutto.

Passai giornate interminabili tra il letto e il divano. Stefano dopo un po’ mi venne in soccorso e mi prescrisse degli antidepressivi che per lo meno mi tirarono fuori dalla posizione orizzontale. Con la presenza di spirito di un automa ricominciai a vivere. Ad alzarmi la mattina, lavarmi, vestirmi, mangiare, uscire a fare la spesa. La responsabilità di Marco mi schiacciava: mi accordai con mia suocera per mandarlo al mare con loro tutta l’estate, nella casa di famiglia.

A luglio la città si era svuotata. Si trovava parcheggio in centro, gli schiamazzi dei bambini della scuola davanti a casa erano svaniti, il sole scaldava l’aria ogni giorno di più.

Andavo spesso al parco. Il bisogno di sopravvivere nonostante il senso di vuoto che sentivo nello stomaco mi spingeva a buttarmi fuori di casa e andare ad annusare l’aria, sentire il tepore del sole sulla pelle.

Tornavo intontito. Espletavo le funzioni vitali e poco altro.

Quei mesi trascorsero per inerzia. Ad agosto raggiunsi i miei suoceri in Liguria. Marco era allegro, almeno così volli credere. Passava le giornate tra bagni in mare e sfide a calciobalilla con i suoi nuovi amici della spiaggia.

Mi riposai. Di Marta non parlavamo mai.

Mia suocera fece da mamma e anche da papà a Marco in quel periodo.



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